Sbandieratori e Musici
Associazione Culturale Pilastro

Viterbo

La nostra splendida città

V
iterbo è definita da secoli la città dei Papi, in memoria del periodo in cui la sede papale fu appunto spostata in questa città che ancora porta i segni di quel fasto, pur avendo origini ancora più antiche.
La "Città dei Papi", capoluogo di antica origine etrusca e di grandi tradizioni storiche, conserva un assetto monumentale tra i più importanti del Lazio: aristocratici palazzi, monumenti ricchi di opere d'arte di spiccato interesse, suggestivi quartieri medievali, chiese e chiostri di varie epoche, torri slanciate ed eleganti fontane in peperino (la tipica pietra delle costruzioni viterbesi).
Il nucleo storico iniziò a svilupparsi verso l'anno 1000 intorno all'antica Castrum Viterbii sul Colle del Duomo e nel breve volgere di poco più di due secoli, raggiunse uno sviluppo talmente notevole da contendere alla vicina Roma l'onore e l'orgoglio della sede papale. E' cinta da alte mura medievali merlate e da massicce torri (costruite dal 1095 al 1268), ancora oggi pressoché intatte, con accesso da 8 porte.
Origini
Tracce di antichi insediamenti testimoniano la presenza di Italioti sull'area dove poi è sorta Viterbo: esempi di tale occupazione sono dati, per il periodo neolitico ed eneolitico, dalle tombe del Rinaldone (l'attuale Bagnaccio) e nei dintorni di Ferento.
Nel luogo dove oggi sorgono il Duomo ed il Palazzo Papale esisteva, già nel periodo etrusco, un centro fortificato (castrum) che acquistò maggiore importanza dopo l'occupazione romana dalla metà del III sec. con l'apertura della strada consolare Cassia.
Per il periodo etrusco, ad eccezione di un pezzo di muro costruito con grossi blocchi di pietra squadrata, identificato come fondamenta di un ponte che permetteva l'accesso al castrum, conosciuto col nome di Necrolite di Brocchi, e di qualche tomba isolata nel territorio circostante, non vi è esistenza di un vero e proprio vicus.
Dell'esistenza di una tetrapoli etrusca, racchiusa nella parola F.A.V.L., che ha dato origine alla città di Viterbo così come volevano credere i cronisti quattrocenteschi, non vi è traccia. L'ipotesi che quattro quartieri, Fano, Arbano, Vetulonia, Longola, disposti a croce fossero stati il primo nucleo abitativo della città è stata confutata dagli storici locali, che videro in essa un criptogramma dal doppio senso: l'acronimo fissava le presenze di quattro centri etruschi, Ferento, Axia, Urcla e Lucerna (o Muserna), periferici alla zona abitata nel raggio di sei miglia, avamposti insuperabili oltre i quali non era permesso risiedere, secondo la Legge Sacra. Inoltre lo stesso acronimo indica la sintesi abbreviata di Fano (FA) e di Voltumna (VL) per indicare le quattro vie disposte a croce, come nello scudo insito nello stemma di Viterbo, che portavano al Bosco Sacro, punto d'incontro delle stirpi etrusche.
In epoca romana il castrum, presumendo l'esistenza di un tempio dedicato ad Ercole, prese il nome di Castrum Herculis, toponimo che rimase fino all'inizio del periodo Medievale, del cui culto vi sono testimonianze sul territorio.
Le prime notizie sulla città risalgono comunque alla metà del VIII sec. ed attestano l'esistenza del castrum Biterbi come confine meridionale della Tuscia Longobarda.
La realtà cittadina fino all'anno Mille era poco definita e consisteva nell'insieme di alcuni agglomerati urbani in fase ancora di integrazione. Durante le ultime fasi del regno longobardo si attestava la presenza della civitas Vitervese identificata anche come civitas Viterbii o civitas viterbiensis.
Il documento più antico che parla della città è il Diploma di papa Leone IV datato all'anno 852, la cui unica copia, fatta eseguire successivamente da Innocenzo III, menziona Viterbo tra i territori del Patrimonio di San Pietro.
Anteriormente all'XI sec. si erano formati tre nuclei fuori dal Colle del Duomo: Vicus Sonzae, Vicus Quinzanus, Vicus Squaranus; dall'XI sec. Viterbo assume quindi una fisionomia definita, essendo sorti tutti i borghi che la compongono, i quali verranno successivamente cinti da mura: fulcro di questi borghi sono le Chiese. Oltre a quelle di San Silvestro e Santa Maria Nuova, poste sull'altipiano di fronte al Castello del Duomo, sorgono il borgo di San Pietro dell'Olmo, il borgo Biterbu intorno alla chiesa di Sant'Angelo in Spatha, il borgo di Santa Maria del Poggio, il Borgolungo, popolato dal 1084 dagli aretini, tra la chiesa di San Pietro e quella di San Pellegrino.
Questi borghi, non ancora protetti da cinta muraria, si dotarono di molte torri, ed erano compresi in un'area triangolare con vertice nel Colle del Duomo e i due lati ad esso convergenti coincidenti con i torrenti Urcionio e Paradosso; il terzo lato era costituito dalla prima cinta muraria, risalente al 1095. Da questo triangolo erano esclusi i borghi meno popolati di Vico Scarano, Piano di San Faustino, Piano della Trinità, il Castello di Sonza ed il Piano di San Marco.
Nel 1187 la cinta muraria viene prolungata, da Porta Fiorita a Porta Valle Faul, includendo così Piano Scarano; nel 1192 si ha il terzo tratto di mura, che da Valle Faul si riaggancia a San Lorenzo, percorrendo parallelamente il fosso Urcionio. Del 1215 è un ulteriore prolungamento della cinta muraria, dalla Torre S. Lupara alla Porta di Bove; nel 1246 altro tratto di mura parte dalla Ponticella fino a Porta S. Maria Maddalena, e nel 1251 un ulteriore tratto di mura là dove sorgeva il palazzo di Federico II, distrutto dal card. Raniero Capocci. La Valle Faul verrà circondata da mura soltanto nel 1268.
Dalla metà del XIII sec. Viterbo raggiunge il massimo della grandezza poiché diversi papi la scelsero come propria residenza e sede di conclavi.
Dal punto di vista architettonico, Viterbo non subisce trasformazioni fino al XVI sec., quando il fitto tessuto medievale è interrotto dalla nascita di residenze nobiliari.
Tra XVIII e XIX sec. i più importanti interventi riguardano edifici di carattere pubblico: costruzione del nuovo Palazzo Apostolico (1779) e del Teatro dell'unione (1854). Inoltre tra la fine del XIX e l'inizio del XX sec. vengono intrapresi una serie di restauri sui principali monumenti medievali.
Stemma
Lo stemma di Viterbo ha sicuramente origini antichissime anche se la sua attuale "conformazione" deriva dalla commistione di elementi raccolti durante i secoli.

Lo storico viterbese Cesare Pinzi nel suo "I principali monumenti di Viterbo" (prima edizione nel 1889) lo descrive schematicamente in questo modo:
1. LEONE: antico stemma guelfo della città (sec. XI).
2. PALMA: emblema della città di Ferento, appropriatosi dai Viterbesi dopo la distruzione della medesima nel 1172.
3. ASTA: sormontata dall'aquila bicipite, donata alla città dall'Imperatore Federico I, Barbarossa, nel 1167.
4. BANDIERA DELLA CHIESA: croce bianca in campo rosso colle chiavi decussate. Donata alla Città perché la desse a portare al suo leone, nel 1315.

Nei monumenti rimasti non vi sono tracce di stemmi, identificanti Viterbo, anteriori al 1200; dalle cronache ancora esistenti, appare però traccia di uno "stemma" di Viterbo fin dal 1172, accennando al fatto che prima di quell'epoca esso fosse composto solo da un leone.
Il motivo di questo stemma primitivo non è conosciuto: la leggenda eroica vuole però che Viterbo, città etrusca dal nome Surina (poiché nelle sorgenti termali prossime alla città le popolazioni vedevano il manifestarsi del dio infero Suri), assumesse per propria insegna quella belva in memoria di Ercole, che di spoglie leonine vestiva e che più tempo abitò nel nostro territorio: anche egli era legato alle acque calde, la cui venerazione prese il sopravvento sull'altra divinità.
Sul Colle, e proprio dove oggi è il duomo, ebbe un tempio e un culto ufficiale che durò almeno fino al IV secolo dopo Cristo. Di questo culto rimane anche il ricordo nell'ormai dimenticato nome della grande sala del Palazzo dei Priori, detta Erculea: il Pinzi cita testualmente le parole di Juzzo di Cobelluzzo, cronista del quattrocento: (...) era tra noi comune credenza che Ercole, volendo confondere et excedere alla forza di Caco sul monte Aventino, passò per le nostre pianure et trovò populi de Civita Musarna et Surrena non haver receptacoli...et cusì fessi edificare il Castello d'Ercole (il Castrum Viterbii, cui diede il proprio nome), e diegli per segno il Lione." (...)
Quando nel Medioevo Viterbo decise di darsi uno stemma ecco risorgere dai secoli, conservata e trasmessa da quella che si definisce la memoria collettiva, la figura di Ercole e di conseguenza del leone: il leone di Ercole; un leone non rampante, ma come si dice in gergo araldico, "passante che si muove fiero, robusto e forte, da destra a sinistra."
Il leone era anche preferibile dalla città guelfa in contrasto all'aquila assunta dalle città di parte ghibellina: aquila che pure comparve nello stemma tra il 1167 ed il 1172 per la concessione da parte di Federico Barbarossa del proprio vessillo imperiale per accattivarsi le simpatie della popolazione viterbese. (Giuseppe Ferdinando Egidi sostiene "di questa concessione, fatta forse soltanto verbalmente nel 1167, si ebbe più tardi la conferma ufficiale in un diploma del legato imperiale Cristiano di Magonza datato da Siena ai 19 marzo 1172").
Lo stesso drappo vermiglio appare come ricordo della concessione imperiale perché colore della parte ghibellina. Nello stesso anno Viterbo prese e distrusse definitivamente la vicina Ferento ed allora con forte orgoglio campanilistico mise lo stemma della città rivale, la palma, dietro il proprio Leone. La palma che era anche simbolo di vittoria e che, per la deformazione tipica dell'araldica, ha preso figura di picca.
La Bandiera della Chiesa ha origini discordanti a seconda di cronache scritte o orali: secondo il cronista Lancillotto, Clemente III, per premiare i Viterbesi che avevano liberato due Cardinali dagli oltraggi del conte Aldobrandino, ricacciandolo fino a Montefiascone, donò al leone del Comune la bandiera con le chiavi; altre cronache ci dicono che Bernardo de Coucy per l'aiuto offerto dalla città e dalle sue milizie concesse l'onore di avere la bandiera della Chiesa: croce bianca in campo rosso con nei quarti le chiavi di S. Pietro. In tal modo il Leone recò fiero anche questo vessillo. In un diploma conservato nell'Archivio storico comunale vi è il disegno a colori di quella bandiera: l'asta del vessillo non è sormontata dall'Aquila imperiale; il drappo è a fondo rosso traversato completamente da una croce bianca, cui nei quattro angoli si accostano quattro chiavi pure bianche. Sulla testa del leone è poi disegnata una corona, di ignota origine... supposizione di studiosi settecenteschi è quella che indicasse l'antico leggendario principato etrusco goduto dalla Città.
Più tardi nei secoli fu aggiunto il globo con il criptogramma FAVL (ad indicare la tetropoli formata da quattro centri: Ferento, Axia, Urcla e Lucerna (o Muserna), periferici alla zona abitata nel raggio di sei miglia o la sintesi abbreviata di Fano e di Voltumna, per indicare le quattro vie disposte a croce che portavano al Bosco Sacro, punto d'incontro delle stirpi etrusche) che fu tolto e rimesso per tre secoli.
E' comunque il leone che campeggia in ogni stemma, che da un sigillo del 1225 è accompagnato "Non metuens verbum, Leo sum qui signo Viterbium": Non temendo alcuna offesa, io sono il Leone che rappresenta Viterbo.
Sempre G.F. Egidi ci lascia queste parole: "Quindi il nostro stemma attuale, memoria dei privilegi che le autorità papale e imperiale a vicenda ci largivano per tenerci a sè, delle vittorie nostre, e della boria cittadina, si può araldicamente descrivere così: «D'azzurro, alla palma naturale e fiorita di rosso; attraversata da un leone d'oro coronato, destropassante e guardante, sopra una campagna d'oro, appoggiato di branca anteriore destra su di un globo d'azzurro centrato e crociato d'oro, e cantonato delle lettere F. A. V. L. dello stesso, e tenente con la branca medesima uno stendardo di rosso, attraversato da una croce d'argento cantonata di quattro chiavi dello stesso, e sormontato in asta dall'aquila bicipite d'oro.» (Egidi Giuseppe Ferdinando 1889).
Tratto da wikipedia e dal sito del Comune di Viterbo
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