Sbandieratori e Musici
Associazione Culturale Pilastro

Santa Rosa

Piccola grande Santa

La patrona della città di Viterbo è la piccola grande Santa Rosa.
È senza dubbio la figura più importante della città. In suo onore si tiene una grande festa, adorata e seguita da tutti i viterbesi e non solo.
Vita e miracoli

Santa Rosa nacque a Viterbo nel 1233, secondo alcuni studiosi il 15 Maggio (la data esatta è tuttora oggetto di ricerche), da Giovanni e Caterina, una modesta famiglia di agricoltori, che la educarono nell’amore e nel rispetto di Dio.

Sin dalla tenera età, nella fanciulla si distinsero subito la carità, la devozione e il disprezzo delle vanità mondane.

Diversi sono i racconti che narrano di miracoli compiuti dalla piccola Santa già nei primissimi anni di vita. Tra questi ricordiamo:
- la resurrezione della zia morta da un giorno (avvenuta nel periodo tra il terzo ed il settimo anno);
- la trasformazione del pane in rose: risparmiati dal suo cibo quotidiano per donarlo ai poveri, Rosa aveva messo da parte dei pezzi di pane, nascondendoli nel grembiule; il padre, preoccupato per la salute della figlia denutrita, l’aveva fermata sulla porta di casa, chiedendole di aprire il grembiule. AI posto del cibo erano però comparse delle freschissime rose rosse;
- la brocca risanata: Rosa si era recata alla fonte di Santa Maria in Poggio per attingere l'acqua quando ad una bambina cadde la brocca che si ruppe in frantumi. Sperando di non ricevere la punizione dei genitori la fanciulla incolpò Rosa di averla fatta cadere. Questa raccolse i cocci e ricompose la brocca, restituendola intera alla bambina bugiarda.

Nel 1243 Federico II di Svevia assediò la città di Viterbo e la piccola Rosa pregò molto e prestò soccorso ai suoi concittadini, confortandoli a sperare nel Signore. Nella notte del 23 Giugno 1250, quando Rosa giaceva nel letto gravemente inferma e prossima alla morte, improvvisamente si alzò in piedi guarita, tra lo stupore degli astanti. La Vergine Maria le era apparsa per guarirla e affidarle una missione per la sua città, dicendole di indossare l’abito del terzo ordine di S.Francesco, dopo aver compiuto un pio pellegrinaggio nelle chiese di S.Giovanni, S.Francesco e S.Maria in Poggio; qui, dopo il taglio dei capelli, vestì l’abito della penitenza con ai fianchi il cingolo francescano. La mattina del giorno seguente, con la croce in mano, cominciò a percorrere le vie cittadine: in breve tempo Viterbo cambiò volto e molti si convertirono. Tutto ciò irritò i seguaci di Federico II e, su ordine del podestà Mainetto Bovoli, Rosa fu esiliata il 4 Dicembre 1250, per il continuo esercizio di apostolato, proibito ai laici da papa Gregorio IX sin dal 1234. Per cercare rifugio si diresse con la famiglia a Soriano nel Cimino; durante il viaggio ebbe una visione divina che le predisse la fine della persecuzione della Chiesa e la morte dell’imperatore Federico II (che avvenne il 13 Dicembre 1250). Successivamente si trasferì a Vitorchiano. Qui fu accolta come messaggera di Dio, e compì alcuni dei suoi miracoli: ridonò la vista a una bambina cieca dalla nascita e trionfò vittoriosa nella prova del fuoco, uscendo illesa dall’interno di un rogo da lei affrontato per convincere un’eretica della verità di Dio e della esigenza di unirsi alla Chiesa. Nel Gennaio 1251 fece ritorno nella sua città e si recò nel piccolo monastero di S.Damiano, chiedendo di essere accolta tra le monache. Netto, però, fu il rifiuto della superiora, alla quale Rosa predisse che se non l’avessero accolta da viva, lo avrebbero fatto da morta. (“……”). La scusa della negazione fu che non vi era più posto, ma in realtà la giovane santa era considerata da molti una ribelle verso l’imperatore e i nemici della Chiesa, pertanto occorreva usare la massima prudenza. Rosa si ritirò allora nella sua casa, dove attese il momento della sua morte, che avvenne il 6 Marzo 1251.


Il corpo

Fu sepolta (senza bara) nella nuda terra del piccolo cimitero della chiesa di S.Maria in Poggio, essendo quella la parrocchia nella quale era compresa la sua abitazione. Dopo diciotto mesi, per volere del Papa, che ne ordinò il processo di canonizzazione, il suo corpo fu esumato e poi di nuovo sepolto all’interno della chiesa, dove rimase fino al 1258, quando, per ordine del pontefice Alessandro IV, fu nuovamente disseppellito e, dopo sette anni dalla sepoltura, fu trovato miracolosamente incorrotto come fosse spirato allora.
Nel corso dei secoli il corpo, vestito con gli abiti tradizionali dei Terziari Francescani, a ricordo della laicità di Rosa durante la sua vita terrena, è stato conservato senza alcuna precauzione conservativa, se si esclude l’uso di cere protettive.
Nel Rinascimento, il corpo era stato riposto in un’urna munita di una finestra attraverso la quale i fedeli potevano toccare la piccola Santa.
Nel Trecento, le reliquie di Rosa rischiarono di andare distrutte in un incendio che distrusse parte del baldacchino, ma non intaccò il corpo, ad eccezione di una leggera bruciatura che ne scurì l’aspetto.
Nel 1921 fu eseguita una prima ricognizione del corpo, durante la quale venne estratto il cuore, ancora integro, che venne riposto in un reliquiario d’argento, dove ancora oggi è conservato.
Nel 1996 è stata effettuata una nuova ricognizione medico scientifica ad opera dell’equipe del Prof. Capasso per conto del Ministero dei Beni Culturali, che ha confermato uno straordinario grado di conservazione del corpo di Santa Rosa e dei suoi organi interni. Sono stati documentati resti di tessuto cerebrale, di masse muscolari e di altri apparati; lo scheletro, con le ossa tutte in connessione anatomica, è apparso in ottime condizioni , così come i denti e le cartilagini. Ciò ha permesso di confermare l’età della morte di Rosa, compresa tra i 18 e i 20 anni. Inoltre è emerso che era affetta da una rara patologia, la sindrome di Cantrell, caratterizzata da una mancanza congenita dello sterno, che solitamente porta a morte durante i primissimi anni di infanzia.
Oggi, la salma di Santa Rosa è conservata nel Monastero omonimo all’interno di un’urna di vetro, sormontata da un baldacchino in legno con putti adoranti in argento, dono del Cardinal Sacchetti nel XVII secolo.


Canonizzazione

Il lungo percorso di canonizzazione di Santa Rosa ebbe inizio con la Bolla Sic in Sanctis Suis mirabilis del 25 Novembre 1252, con la quale papa Innocenzo IV ordinò di cercare testimonianze legittime e veritiere circa la vita ed i miracoli della vergine viterbese. Man mano che passavano gli anni, diversi papi si interessarono e riaprirono l’inchiesta: dal già citato Alessandro IV a Eugenio IV (nel 1443), da Callisto III (nel 1456) a Pio II (nel 1460), da Sisto IV (nel 1476) a Giulio II (nel 1509), fino a che i successivi pontefici ritennero chiusa la causa senza che fosse portata a termine.


La festa

Il 4 Settembre 1258 il Papa, in forma ufficiale e solenne, fece trasportare a spalla da quattro cardinali il corpo di Rosa per le vie di Viterbo, accompagnato dalla corte papale, dal vescovo, dal clero, dai notabili e da tutto il popolo dei fedeli. Giunto alla piccola Chiesa di S.Maria delle Damianite di Assisi (dedicata in seguito alla nostra Santa), il pontefice affidò il corpo di Rosa alle figlie di santa Chiara perché la custodissero gelosamente e ne stabilì la festa, da celebrarsi ogni anno nella medesima data.
A lei sono intitolate chiese, parrocchie, città e scuole ed è patrona dei fiorai, della gioventù dell’Azione cattolica italiana e della Gioventù francescana. La sua festa fu poi sancita con voto del Consiglio dei Quaranta del Comune di Viterbo il 20 Maggio 1512 che deliberò, tra le altre cose, la partecipazione alla processione di tutte le autorità, le Corporazioni e la popolazione. Ciò diede origine al Corteo storico che il 2 Settembre di ogni anno sfila per le vie della città rinnovando l’antica usanza. I costumi sono stati cuciti per volontà delle Sorelle Clarisse, sulla base di dipinti, disegni e raffigurazioni originali, utilizzando stoffe e merletti a volte addirittura d’epoca e quindi di grande valore. Tamburini, podestà, capitani del popolo, governatori, notai, comandanti delle milizie, soldati, boccioli di Rosa e Rosine, per un totale di oltre trecento personaggi, sfilano lungo un percorso di circa tre chilometri, facendo rivivere gli antichi splendori della città.
Nel XVII secolo l’usanza di trasportare in processione la statua della Santa su di un baldacchino chiamato “Macchina” ha dato vita all’attuale trasporto della Macchina di Santa Rosa, avvenimento di folclore religioso spettacolare ed unico al mondo.


La macchina di Santa Rosa

La Macchina di Santa Rosa è una torre illuminata da fiaccole e luci elettriche, realizzata in metalli leggeri e in materiali moderni quali la vetroresina (che hanno sostituito da diversi anni il ferro, il legno e la cartapesta), alta circa trenta metri e pesante cinque tonnellate. La sera del 3 settembre di ogni anno, a Viterbo, la macchina viene sollevata e portata in processione a spalle da un centinaio di uomini detti "Facchini di Santa Rosa" lungo un percorso di poco più di un chilometro articolato tra le vie, talvolta molto strette, e le piazze del centro cittadino. Durante il trasporto, che comincia alle ore 21 e al quale assistono decine di migliaia di persone, le vie interessate vengono oscurate per far risaltare la luce della Macchina. Il trasporto rievoca simbolicamente la traslazione della salma di Santa Rosa, avvenuta a Viterbo nel 1258 per disposizione di Papa Alessandro IV, dalla Chiesa di Santa Maria in Poggio (detta della Crocetta) alla chiesa di Santa Maria delle Rose (oggi Santuario di Santa Rosa). La festa rientra nella Rete delle grandi macchine a spalla italiane, dal 2013 inserita nel Patrimonio orale e immateriale dell'umanità dell'UNESCO.

È l'avvenimento principale dell'anno cittadino, capace di catalizzare e monopolizzare l'attenzione dell'intera città e di attirare un sempre maggiore numero di turisti. Fin dal pomeriggio le vie del centro storico vanno riempiendosi di cittadini e visitatori in attesa di essere immersi nel buio della sera (tutte le luci pubbliche e private sono rigorosamente spente), con l'improvviso sfolgorare del gigantesco campanile che squarcia le tenebre. Nel frattempo i Facchini, vestiti nella tradizionale divisa bianca con fascia rossa alla vita (il bianco simboleggia la purezza di spirito della patrona, il rosso i cardinali che nel 1258 traslarono il suo corpo), si recano in Comune dove ricevono i saluti delle autorità cittadine, poi vanno in visita a sette chiese del centro, infine in ritiro al convento dei Cappuccini, dove il capofacchino impartisce loro le ultime indicazioni sul trasporto. Verso le ore 20 i Facchini, preceduti da una banda musicale che intona il loro inno (intitolato Quella sera del 3), partendo dal Santuario di Santa Rosa percorrono a ritroso il tragitto della Macchina, acclamati dalla folla, fino a raggiungere la Chiesa di S. Sisto, presso Porta Romana, accanto alla "mossa". Qui viene impartita loro dal vescovo la cosiddetta benedizione in articulo mortis, che prende in considerazione eventuali incidenti e pericoli.

Il trasporto inizia all'interno di Porta Romana, dove accanto alla Chiesa di San Sisto la Macchina è stata assemblata durante i mesi di luglio e agosto e celata fino all'ultimo momento da un'imponente impalcatura coperta con teli. Le ore che precedono il trasporto prevedono una serie di verifiche e infine l'accensione delle luci che fanno parte della costruzione, alcune elettriche e moltissime a fiamma viva. Il percorso, lungo circa 1.200 metri, si svolge nelle vie rese buie e si conclude nella piazza antistante il Santuario di Santa Rosa, dedicata ai Facchini. Durante il trasporto si effettuano cinque fermate, durante le quali la Macchina viene appoggiata su speciali "cavalletti" pesanti 100 chili ciascuno:
  • Piazza Fontana Grande
  • Piazza del Plebiscito (di fronte al Comune)
  • Piazza delle Erbe
  • Corso Italia (davanti alla Chiesa di Santa Maria del Suffragio )
  • Corso Italia (nei pressi della Chiesa di Sant'Egidio - Fermata istituita nell'anno 2013)
  • Piazza Verdi (o del Teatro).
L'ultimo tratto consiste in una ripida via in salita, effettuata quasi a passo di corsa, con l'aiuto di corde anteriori in aggiunta e di travi dette "leve" che spingono la Macchina posteriormente. La Macchina viene posata infine davanti al Santuario (Chiesa di Santa Rosa), dove rimane esposta ai visitatori per alcuni giorni successivi al trasporto.

Durante il trasporto i facchini e le altre figure che assicurano i necessari appoggi per le soste sono coordinati dal capofacchino che impartisce i comandi. Sono ben noti, sia ai viterbesi, sia a quanti solo di passaggio abbiano assistito ad almeno un trasporto: alla partenza, la "mossa", "Ciuffi di Santa Rosa, accapezzate il ciuffo", "Semo tutti d'un sentimento?", "Facchini di Santa Rosa, sotto col ciuffo e fermi", "Sollevate e fermi", "Per Santa Rosa, avanti!" e "...Posate piano, adagio..."




Evviva Santa Rosa!

Tratto da wikipedia e dal sito del Comune di Viterbo
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